lunedì 19 gennaio 2009

Valli, cavalli & leggende

Valli, cavalli e leggende
Testo di Maria Cristina Magri
Avete presente le Dolomiti? Sono montagne uniche, fatte di una roccia pallida che si incendia nei tramonti e di fiabe che le raccontano come fossero vive, forse perché questi posti sono così magici che non si possono spiegare solamente con un trattato di geologia. Per farlo bene occorre usare qualcosa che, oltre alla ragione, tiri in campo anche la sensibilità e ci costringa a fare affidamento alle nostre sensazioni, ci liberi dalle pastoie delle fatiche più elementari e ci regali quel po’ di istinto che abbiamo perso o addormentato vivendo da uomini…insomma, ci vuole un cavallo: detto e fatto, l’invito di un amico ha fatto da innesco per questa piccola avventura e liberati da ogni preoccupazione organizzativa, ci farà conoscere tre aspetti completamente diversi del territorio compreso tra Bolzano, Bressanone e Merano. Avremo la nostra base allo Shiloh Ranch di Collepietra, di fronte al Catinaccio, e da lì ci muoveremo per la Plose e la Val di Fosse. Cavalli americani, selle western, monta da lavoro e quindi adattissima a passeggiate lunghe ad andatura tranquilla – Silvano Querini, il nostro “gancio”, ci aveva preparati ad un ambiente a stelle e strisce ma arrivare qui è una sorpresa: perché si attraversa un bosco di larici in macchina, si svolta a sinistra giù per una stradina che porta ad un maso fiorito con petunie e gerani d’ordinanza e improvvisamente ci ritroviamo in un accampamento indiano. Si capisce subito che non c’è nulla di finto: Tom e i suoi amici sono semplicemente innamorati della cultura dei nativi d’America, e ne hanno portata un po’ qui in Sud Tirolo. Ci fanno visitare il loro piccolo museo, entriamo in punta di piedi e cerchiamo di non disturbare quella che sembra più una zona privata del loro modo di essere che una collezione; a volte le risposte si trovano più con gli occhi che facendo domande, mi guardo intorno e comincio a raccoglierle. Da dove cominciamo? Ma dai cavalli, naturalmente: qui sono tutti fuori al paddock, d’estate nelle scuderie rientrano per la notte soltanto uno stalloncino e la fattrice Haflinger col puledrino al seguito che dovranno partecipare alle rassegne morfologiche di razza questo autunno. Gli altri sono tutti fuori, belli tondi e lucidi di salute: andiamo a prendere ognuno il proprio destriero, si lavora di brusca e striglia, si sella e finalmente si monta. E’ la prima di quattro uscite, serve per metterci insieme al nostro cavallo e regalarci un anticipo di passeggiata.
Da domani seguiremo il programma e cominceremo a lavorare: ma da qui in avanti cominciamo a scoprire questi posti e queste persone. Perché in sella ci si riconosce in fretta e i cavalli fanno da denominatore comune; i loro passi si smorzano nella terra morbida e scura, i pensieri scivolano fuori senza fatica anche se ci si conosce da poche ore. Sarà così per quattro giorni: la mattina e il pomeriggio fuori a cavallo, chiudiamo le serate seduti intorno ad un tavolo a raccontarci cose vecchie e nuove.
Mi piace ascoltare queste persone caute con le parole e così attente ai gesti, anche a quelli apparentemente banali: se brindi con qualcuno (“Zum Wohl!”) devi fissarlo bene dritto negli occhi e tenere le mani in vista sul tavolo, mica tirar via di fretta e schivare lo sguardo. Non abbiamo imparato proprio coi cavalli che il linguaggio del corpo è fondamentale? Qui anche senza sussurratori lo sapevano già, e non hanno mai dimenticato che funziona anche tra uomini. “Non so il perché di questa passione per la cultura indiana” racconta Tom ”E’ così, semplicemente. Dove adesso c’è il nostro maneggio quando ero bambino veniva sempre un mio amico, Hube: era solo un prato ma noi ci giocavamo a indiani e cow-boy, io facevo sempre il visopallido e Hube era sempre il pellerossa. Un giorno, avevamo sette anni, è arrivato tirandosi dietro per la capezza l’Haflinger che i suoi usavano per tirare l’aratro, e abbiamo pensato “Oggi sì che si gioca bene!”siamo finiti per terra tante volte quella giornata, tante!”. Tom è stato capace di continuare a giocare molto seriamente facendo di una passione una parte fondamentale della sua vita: adesso ha questo bellissimo centro dove si monta come si deve e gli amici possono stare insieme, vicini ai cavalli: se passate di qui e volete unirvi alla loro compagnia le porte sono sempre aperte, meglio ancora se avrete con voi il vostro cavallo. Silvano lo conosce da 27 anni: “Gli ho portato le stanghe che ha usato per costruirsi i primi recinti, anche la casa se l’è fatta da solo: l’amore per la propria terra, la capacità di rimanere legati alla natura nella quale si vive fa parte sia della cultura della nostra gente che di quella degli indiani d’America. Sono due mondi più vicini di quello che sembra a prima vista, e i cavalli erano una parte importante di entrambi”. Una sera siamo andati a trovare anche Hube, vive in un tepee indiano alzato di fianco al maso di famiglia, in mezzo ad un orto lussureggiante e con una capanna di tronchi aperta sul lato verso il tramonto e che fa da stube; è notte fonda, un tronco arde piano e la luce rossa delle braci si riflette sui profili delle persone sedute attorno. Un cane mi ha appoggiato la testona su un piede, appena più in là so che c’è il recinto con i cavalli e i muli di Hube che adesso sta raccontando la leggenda di Re Laurino, il Re-Mago dei Nani. Viveva sul Catinaccio dove aveva un giardino di rose meravigliose: si innamorò della bella principessa Similde, la mise in arcione sul suo cavallo e la portò nel suo regno. Ma gli uomini vennero a riprenderla e fu proprio il giardino di rose a tradire Re Laurino, perché i cavalieri lo videro spiccare da lontano tra le rocce. Assalto, duello, disastro per il Re dei Nani: prima di morire lanciò una maledizione, che nessuno potesse più vedere i suoi fiori né di giorno né di notte. Ma dimenticò quel momento che sta a metà tra la luce e il buio, il tramonto: ed è per questo che quando cala il sole tutto il Catinaccio si tinge di rosso. Sono le rose di Re Laurino che tornano a fiorire per la magia di un attimo: il Rosengarten.
Maria Cristina Magri

Nel bosco
Partiamo presto, il mattino sta scivolando giù come luce rosa fra le dita del Catinaccio. Dal Ranch di Tom saliamo per il sentiero che passa sotto il bosco di larici: saliremo fino a 1551 metri di altezza in tre ore di passeggiata, coprendo un dislivello di trecento metri. Poco asfalto poi ci infiliamo tra gli alberi altissimi e sottili, i sentieri sono ben segnati e i nostri cavalli avanzano decisi. Rolly ha attaccato Herta e seguono il nostro stesso percorso: sarebbero un ottimo attacco da gimkana e cross, tanto di cappello. Verso l’una arriviamo al maso Jocher: lo gestiscono Hannes e Ivan, due fratelli che hanno un piccolo allevamento di Arabi e partecipano regolarmente alle gare rusticane che si tengono da queste parti. I nostri cavalli riposano tranquilli legati alla staccionata, noi pranziamo e poi rimontiamo in sella per tornare verso la scuderia: è un piacere potersi godere il panorama in santissima pace, la mia cavalla pensa da sola a sbrigarsela nei passaggi più complicati del sentiero, basta lasciarle le redini sul collo che mette il naso a terra e guarda attenta dove appoggiare i piedi. Torniamo al maneggio ed è lei a perdersi guardando l’orizzonte: il suo paddock ha una vista strepitosa sul Rosengarten, lei se ne sta girata da quella parte mangiucchiando pensosa qualche filo del fieno profumato che ha davanti, sotto la sua tettoia con vista.
RossAlm, la Malga del Cavallo:
Si caricano i cavalli sui trailers per arrivare sopra Bolzano, sino ai 2000 mt. s.l.m. di Val Croce: parcheggiamo i mezzi sotto il Ristorante Al Monte e seguiamo il sentiero nr. 17 che in un’ora e mezza ci porterà fino alla Ross Alm, sotto la cima Plose, a 2200 mt. Prati e ancora prati, poche macchie di pino mugo e il profilo secco del Sass di Putia e delle Odle alla nostra destra, spinte in là da questo mare verde di erba corta e spessa come un tappeto. Ross Alm nel dialetto locale significa “malga del cavallo”: i vecchi dicevano che da qui tornavano sempre in condizioni perfette, meglio che dagli altri pascoli. Questi sono di proprietà del Consorzio del Comune, ed i privati affidano i loro animali al pastore incaricato dal Consorzio stesso, Albert, che li controlla ogni giorno: molti cavalieri di Bolzano e dintorni portano qui d’estate i loro amici a quattro zoccoli, quest’anno ce ne sono una quarantina. Anche per noi umani la Ross Alm è più che invitante: da tre anni è stata completamente ristrutturata, quando arriviamo rimaniamo stupiti dal design modernissimo e piacevolmente caldo dell’albergo-rifugio. L’accoglienza squisita di Peter ci conquista del tutto e li lasciamo a malincuore per incamminarci verso valle e tornare in scuderia: ci fermiamo un attimo a guardare la Plose, il vento sale e porta fin su il profumo del timo serpillo assieme ai rintocchi dei campani che punteggiano l’aria.
La Val di Fosse, un sentiero in alta quota:
L’ultimo giorno è dedicato alla Val di Fosse, incastonata come un gioiello nel territorio del Parco Naturale del Gruppo Tessa, poco sopra Merano. Lasciati trailer e van al parcheggio della Casera di Fuori, a 1700 metri di quota, si monta in sella e si segue il sentiero a mezza costa. Non ci sono difficoltà, solamente bisogna far attenzione ad aprire e chiudere bene i cancelli tra i vari pascoli ed allora esce fuori tutta la consumata abilità nel Trail-Horse dei cavalli di Silvano e Tom; poi su in alto, prima di Maso Gelato, la valle si allarga e si apre in un altopiano dolcissimo; ci si sente arrivati anche se il sentiero continua. Se lo seguissimo ancora arriveremmo al Similaun dove è stato ritrovato Otzï, un uomo che da queste parti ci passeggiava 5000 anni fa. Torniamo giù di poco, ci fermiamo coi cavalli davanti alla minuscola cappella dedicata a S.Uberto e facciamo uno spuntino da Heidi alla malga Rableid: squisito il formaggio fatto da loro con il latte delle vacche che pascolano qui fuori, viene un gran voglia di fermarsi a dormire in una delle camere della malga e passare qualche giorno in questo paradiso. Per il momento non possiamo, giriamo i cavalli e scendiamo alla Casera di Fuori. Ma queste valli ci hanno conquistati, oramai è certo: torneremo presto, auf viedersehen!
Il Sud Tirolo a cavallo – istruzioni per l’uso: E’ un’ottima idea appoggiarsi a chi conosce perfettamente leggi e abitudini locali e ha dimestichezza con la lingua più parlata in queste valli. Ricordate: se questi posti sono così incantevoli è perché la gente che li abita cura con fatica la propria terra, e non si sopporta un lavoro così duro come quello che richiede l’agricoltura in montagna se non c’è un forte attaccamento per le proprie tradizioni. Ringraziamo dunque tutto quello che mantiene vive queste montagne e avviciniamoci con garbo: quattro cavalieri per gruppo, non di più. Quelli più numerosi non sono compatibili né con un ecosistema delicato come quello d’alta quota (un pezzetto di prato rovinato richiede decenni per ricostituirsi a queste altitudini) né con il passaggio attraverso i pascoli già occupati da altri animali.
Per saperne di più:
www.steinegg.com
www.rossalm.com
www.naturns.it


I protagonisti:
Tom “the Major” Schroffenegger e Dafne, maremmana “troppo” migliorata di 12 anni. Sensibilissima, non banale, ha trovato in Tom il suo cavaliere ideale – calmo, tranquillo, corretto e mai nervoso che è anche il proprietario dello Shiloh Ranch.
Linda e Nikita, un po’ araba e un po’ qualcos’altro (forse Trackener, ma è solo un’ipotesi) di 16 anni. Hanno sopportato senza fiatare tutte le pretese del fotografo, tutte le fatiche su e giù per i sentieri, tutte le giornate belle o brutte che fossero e tutte le noiosissime battute dei compagni di viaggio. Adorabili, e bellissime.
Martina e Princess, blasonatissima Appaloosa di otto anni, nevrile e scattosa e sensibile quanto la sua amazzone. Sarà per questo che stanno così bene insieme, e riescono a far valere su questi sentieri difficili le loro raffinatezze tecniche…sangue caldo, ma testa a posto: una gran bella coppia.
Roland “Rolly” Gregorich ed Herta, Sangue Freddo Bavarese (un derivato del Norico ormai rarissimo) perfetta sia a sella che attaccata: una signora imponente e quando serve anche vivace, coi suoi sonagli che cantano al trotto è una bellezza che mette allegria. I sonagli li mettevano i vecchi per allontanare lupi e orsi: sentendo arrivare da lontano il cavallo i selvatici facevano in tempo ad allontanarsi e si evitava così il pericolo di capitar loro addosso all’improvviso, rendendoli aggressivi. L’ultimo lupo è stato catturato da queste parti nel 1822.
Judith “Principessa Rapunzel” Unterkofler ed El Darwyn. Damigella Judith era stanca del suo pony da bambina, duro da mandare avanti e quando è stato il momento di passare ad un cavallo ha scelto El Darwyn, arabo grigio di 12 anni: lui non cammina, solfeggia sul posto e non è mai stanco né smette una attimo di sentirsi sotto i riflettori. Buono, agli ordini, educato ma sempre lì con la coda alzata sulla groppa e quell’aria di chi sa, modestamente, di essere proprio bello.
Klaus “Pilar” Pichler e Jenny Il maniscalco del gruppo, a vederlo ferrare tutto serio e compunto, con gli occhiali in bilico sulla punta del naso non si direbbe quello scatenato ribaldo sempre davanti al gruppo degli altri cavalieri: Jenny ha 14 anni ed è pane per i suoi denti, figlia di un cavallo russo e di Flotte Lotte, una Norica che vive in un maso poco più a valle. Jenny ha il carattere di una principessa cosacca, sempre pronta a far faville se si provoca il suo sangue nobile.
Melody, fattrice Appaloosa di 12 anni, Santa subito! non l’ho mai sentita opporsi ad una indicazione, perdere la pazienza per i fastidiosi balbettii dei miei aiuti (è la prima volta che monto all’americana) o creare un problema qualsiasi: sto cominciando a pensare che sia magica, proprio come il panorama qui attorno.

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