domenica 2 dicembre 2007

Ramandolo, resina e torta di mele.


Ancora dal libello...perchè niente piede, niente cavallo!
“Preferisco aver ragione che essere coerente.” - W. S. Churchill

Giacomo Portesan, anima candida d’un maniscalco, aveva scritto qualche tempo fa sul forum di Mr. Horse a proposito del suo modo di trattare i cavalli affetti da navicolite con molto entusiasmo, e tanto di referenze. Parlava di ferratura alternativa, resina, nuovi e strani moderni ordigni, e prontamente era stato accolto dal tribunale della Santa Inquisizione (incarnato nella fattispecie da una santommasa che chiedeva spiegazioni, statistiche e magari anche prove giurate di quanto dichiarato). Ce n’era abbastanza da scatenare una guerra di posizione, ognuno arroccato sulla sua a lanciarsi teoriche frecciatine di qua e di là dalla linea (bianca, ovviamente) di confine. Ed invece ieri mattina dopo qualche mail e un paio di telefonate, appuntamento in una scuderia vicina. Al posto del veleno e dei coltelli portiamo rispettivamente due bottiglie di vino (Giacomo) e una torta di mele (io); ma che strano modo di polemizzare, perdinci.
Comunque, mi presento col mio fagotto alla Cappuccetto Rosso all’appuntamento col lupo, che avevo già subodorato essere un po’ meno terribile del previsto: già il fatto di voler far vedere la realtà delle teorie tradotta in cavallo da ferrare in carne e ossa assegna un bonus notevole alla pagella del Rivoluzionario Maniscalco, siamo sinceri.

Il lupo, accidenti, non rispetta le favole: invece d’essere almeno un po’ prevenuto nei confronti di una rompiscatole che gli dà del millantatore (sempre in tono velato, però), mi saluta sorridente e tranquillissimo e non mi dà manco una ringhiatina, neanche una punzecchiatura anzi, sembra contentissimo di parlarmi di quello che fa, proprio trascinato dalla passione. Finalmente. Finalmente qualcuno che ti trasmette chiaramente il piacere di spiegarti quello che pensa: parlando mi ammucchia uno dopo l’altro in mano tutta una serie di “ferri” alternativi, alcuni in materiale plastico, altri rinforzati con la lunetta in metallo, poi solo plastici ma più rigidi, e man mano che sollevo dubbi me li sbriciola tutti uno alla volta snocciolando una in fila all’altra esattamente le spiegazioni che mi servivano. “No, l’usura della plastica non è incompatibile con il tempo necessario alla ricrescita dell’unghia fisiologicamente necessaria per una nuova ferratura, sì, la lunetta è stata messa proprio per impedire che i chiodi rompano la gomma dovendo trattenere un materiale elastico che si espande e ritrae ad ogni passo del cavallo…” Non trovo niente da ridire, tutto logico. E ancora, ferri d’alluminio in fusione o ricavati dal materiale pieno attraverso macchine a controllo numerico, non fatti “in serie”, disegnati per permettere un più facile stacco dell’anteriore per mezzo di una specie di sbarchettatura, meno materiale in punta che permette al piede del cavallo di effettuare il movimento in modo più naturale, come se fosse scalzo e non come è di solito con le sue brave ciabatte di ferro. Oddio, sto tradendo il maresciallo Blasio, ciabatte di ferro?….eh sì, perché parlando parlando (anzi ascoltando ascoltando) comincio a vedere le cose da un altro punto di vista.

Ascolto la spiegazione tecnicamente più corretta dal punto di vista anatomico e di meccanica del movimento che io abbia mai sentito in vita mia, e oltretutto resa perfettamente comprensibile e ben immaginabile dal modo di parlare di Giacomo. Non si compiace di usare termini cattedratici se non sono strettamente indispensabili, e ogni volta che nomina qualcosa di anatomicamente imbarazzante (flessore profondo, lamine sensitive, benda perioplica, lamine cornee e tutti gli altri, sì li abbiamo letti scritti in piccolo da qualche parte, ma raccontare a cosa servono è un altro paio di maniche) ti spiega dov’è e come funziona e cosa gli puoi fare di brutto o di bello. Cullata e rassicurata da questa lussuosa sensazione di comprensione, mi lascio andare a considerazioni del tutto nuove per una tradizionalista ad oltranza come me.
Bene al riparo della mia solida e (eufemismo…) compatta calottina cranica cominciano a rigirarsi dubbi che avevano tranquillamente dormicchiato fino ad oggi:

Perché mettiamo i ferri ai cavalli?
Per impedirne l’usura eccedente la ricrescita fisiologica dell’unghia, usura dovuta alla nostra necessità di montare il cavallo.
Ma a parte questo, cosa è necessario del ferro al cavallo? Il peso?
No, altrimenti sarebbero già nati per conto loro con l’unghia di bronzo.
I chiodi?
No, sono alla fine un corpo estraneo, che bravi maniscalchi riescono a mettere senza far danni ma che comunque sono rischi aggiunti, traumi in più per unghie sane e torture per cavalli con problemi; puoi infatti forgiare il ferro più complicato e sostenitivo per un cavallo con la navicolite, ma sempre a martellate glielo devi attaccare…e piantare sei o addirittura otto chiodi in un piede la cui struttura è già stata tutta dissestata, rovinata, confusa dal navicolare che sfonda gli altri tessuti e li sposta chissà dove, è andare ad aggiungere compressione e dolore dove già ce ne sono a sufficienza. Per non parlare di rischio di inchiodare tessuti che non andrebbero toccati ma che a causa del problema non sai dove possano essere andati a finire. La scintigrafia ossea difatti non è ancora strumento abituale, per i maniscalchi.
Sostituiscono l’unghia?
No, la proteggono, ma non sono e non si comportano come le unghie del cavallo. Nei cavalli bradi, l’unghia si consuma come è naturale, in certi punti più che in altri a seconda degli appiombi del cavallo e dei suoi movimenti, esattamente come noi facciamo con le nostre scarpe la cui suola racconta il modo che abbiamo di camminare. L’unghia si consuma e cresce a seconda della conformazione e quindi dei movimenti peculiari di quel cavallo, il ferro blocca qualsiasi possibilità di compensare anche solo lievemente certe deviazioni di appiombo con un’usura più marcata in certi punti piuttosto che in altri. Come può, poi, un materiale rigido sostituirne uno elastico?

Ma fin qui abbiamo solo fatto della filosofia, scaldato le idee: adesso entriamo in scuderia e si fa sul serio, vediamo com’è questo benedetto modo di spalmare resina sotto gli zoccoli dei cavalli.
Portano la cavalla che Giacomo deve “ferrare”, una piccola gentilissima baia di dieci anni. Trenta giorni fa le ha fatto per la prima volta pareggio e applicazione della resina. La cavalla, mi racconta il proprietario, era decisamente incastellata, con piedi piccoli e chiusi e risentimenti conseguenti acuiti dal suo mestiere (s.o.). Chiedo il permesso e mi avvento sui piedi della bella, occhi miei fatevi capanna e cosa vedo? niente ovviamente. Sembra decisamente scalza, mi viene fatto di dire come a mio figlio “dove hai messo le scarpe?” ma mi trattengo in tempo. Appena un rilievo lascia intuire che a un certo punto della muraglia comincia uno strato di qualcosa che non è unghia, le prendo un piede in mano e vedo dove ci sarebbe il ferro una patina grigiastra, sottile come un biscotto. Non una spalmata informe di materiale, ma una striscia applicata esattamente dove l’unghia tocca il terreno e basta, che leggerezza. Mi sembra quasi di immaginare il piacere della cavalla nel poter finalmente sentire il piede allargarsi a dovere, l’unghia non costretta rigidamente ma libera di ammortizzare il peso. Non so quanto sia professionale e corretto, ma cerco di ricordare i miei piedi dentro un paio di scarpe strette (ahia) o scalzi (aaaaaaaaaah….) Forse non è poi un’idea così peregrina, questa resina. Giacomo comincia a lavorare, toglie il materiale vecchio con le tenaglie e pareggia leggerissimamente dove serve l’unghia, poi tutta l’operazione di pulizia necessaria perché la resina catalizzando si attacchi dove deve, sotto e sulla muraglia esterna per garantirne la coesione a lungo. Il tutto, impacchettato con la pellicola trasparente sino a quando non è indurito a dovere. La cosa prende parecchio tempo, la messa in posa è delicata per via dell’accuratezza che serve ad utilizzare i materiali, ma quello che mi ha maggiormente impressionato è stata la cura che Giacomo mette nel pareggio. Non toglie molto, anzi davvero pochissimo ma in modo ragionato, preciso e sicuro. Intanto osservo che chiaramente il piede della cavalla nella parte inferiore si è un po’ allargato negli ultimi trenta giorni, la muraglia non scende perpendicolarmente al terreno, un lato parallelo all’altro, ma svasa verso il basso come non avrebbe chiaramente mai fatto con un ferro normale a costringerne la circonferenza.
Raccolgo da terra uno dei pezzi di resina vecchia, lo cincischio un po’ e vedo che ha la stessa compattezza dell’unghia del cavallo effettivamente, rigida ma elastica abbastanza da poterla leggermente torcere, senza spezzarsi. Sembra proprio unghia, non più rigida non più molle, solo più omogenea e compatta. Un cucciolo di Jack Russel arriva quatto quatto a rubare quello che ha scambiato per un golosissimo ritaglio di zoccolo, chissà come ci rimarrà male a masticare resina catalizzata al posto di saporita e organica sostanza cornea!

Finito il lavoro e rimessa la cavalla nel box, io tiro fuori la torta di mele e Giac il suo squisitissimo Ramandolo e facciamo merenda nel corridoio tra i cavalli, sbuffando briciole e zucchero a velo tra una parola e l’altra. Mi racconta che anche lui ha cominciato come tanti con la classica scuola militare di Pinerolo, ma poi crescendo si faceva domande imbarazzanti che non avevano risposta da parte dei maestri (domanda: “perché devo abbassare il tallone nel pareggio, per poi mettere un ferro con le biette per alzare il tallone?”, risposta: “...!!!!...”) e allora ha cominciato a coltivarne una serie sua indipendente di risposte, per questo osteggiato dai puristi classici ad oltranza legati forse alla forgia più che all’anatomia equina. Mi saltano agli occhi della memoria i classici quadri riportati nei manuali di mascalcia, che espongono tutti i tipi di ferro possibili e immaginabili, panoplie di soluzioni meccaniche a problemi del cavallo sono il blasone di quel modo di intendere la ferratura, e mi balena il pensiero tremendo che forse dedicando troppa cura al ferro in sé stesso si possa perdere di vista la cosa più importante, cioè la fisiologia del cavallo, di quel cavallo in particolare. L’attenzione non va spostata più sulla parte viva, che su quella da forgiare o da applicare tout court, come per la maggior parte dei comuni equini mortali? Amletici dubbi tutti irrisolti, ma purtroppo è tardi. Sparecchiamo bicchieri e piatti dall’armadietto dove li avevamo appoggiati e ci salutiamo, lascio quel che resta della torta a Giac sperando di farmi perdonare per il mio pessimo carattere e lo abbandono a malincuore nelle mani dei suoi amici-clienti.
Me ne vado rimuginando pensieri vari: ovvio che per un cavallo normale, sano, la ferratura tradizionale ben fatta è sufficiente. Altrettanto ovvio che se un cavallo ha problemi, o delicatezze e sensibilità particolari potergli far mettere in ordine i piedi in questo modo è un bel regalo, e come dice Giacomo “il proprietario paga, ma il mio cliente è il cavallo”. Ma perdinci, sono convintissima che con l’occhio e la cura che mette nel suo lavoro, ferrerebbe benissimo anche alla vecchia maniera…ma temo sia meglio dirlo sottovoce.

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