
Una gara di Endurance potrebbe sembrare stonata nella dolcezza senza tempo delle colline grigie di ulivi che abbracciano il Trasimeno, eppure funziona: un po’ come i colori squillanti dei cavalieri del Perugino che abitano paesaggi pastello, e si esaltano grazie alla tranquillità che hanno attorno. Ma forse i cavalli ed i cavalieri qui a Castiglione del Lago hanno un motivo in più per sentirsi a casa: queste erano infatti le terre del marchese Ascanio della Corgna, cavaliere raffinato. Nato nel 1516 a Roma e nipote di papa Giulio III, era un esemplare perfetto di gentiluomo rinascimentale: colto, studioso di architettura e amante delle arti, squisitamente elegante a Corte, formidabile schermidore, coraggioso sui campi di battaglia, arrogante e violento con chi lo importunava. Il giovinotto era così scomodo per lo zio Papa da essere addirittura confinato per un certo tempo a Torino, con la scusa di doversi perfezionare nell’arte del cavalcare. Ma il carattere impetuoso non gli fu certo di ostacolo nella vita delle armi, e gli diede la spavalderia e la forza necessarie a sopravvivere ad una serie impressionante di ferite, scontri e disavventure. Ma più che per la sua fama di condottiero e tattico (partecipò alla battaglia di Lepanto come Comandante Generale delle fanterie di Don Giovanni d’Austria), a noi interessa perché lo ritroviamo nel libro di Pirro Antonio Ferraro del 1602 “Il cavallo frenato”: uno degli aneddoti citati riguarda proprio Ascanio che all’assedio di Siena si vide ucciso sotto il suo cavallo di battaglia. Era un falbo, famoso per la sua bellezza e l’alto grado del suo addestramento.
Dopo aver ascoltato le parole del vecchio cavallerizzo, guardare gli affreschi che rappresentano le gesta del condottiero Ascanio nel palazzo di Castiglione del Lago è un po’ come vederlo vivo: sembra veramente di essere più vicini a quelle persone ed a quei giorni, illuminati dalle chiacchiere che si fanno tra gente di cavalli anche da un secolo all’altro.
Ed il ricollegarsi continuo tra di loro di anni che sembrerebbero lontani spiega lo strano caso dell’affresco ottocentesco del Piervittori nella chiesa castiglionese di S. Maria Maddalena: per rappresentare una delle virtù cardinali, la Temperanza, viene messo tra le mani della figura femminile un classicissimo morso cinquecentesco con tanto di leve e briglie. Metafora chiarissima e citazione dovuta agli anni splendidi del marchese della Corgna.
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